Vanessa

I due volti di un mistero tra fuga e libertà

Il teatro incontra la solidarietà: immigrazione, integrazione e lotta contro il pregiudizio nella trasposizione scenica del racconto inedito di Antonio Amoruso, Vanessa. Mistero per un thriller dai risvolti oscuri che, legandosi al noir, gioca con la suspance in modo intenso e coinvolgente

_DSC3866 L’associazione culturale Testaccio Lab ha presentato lo spettacolo Vanessa – al Teatro Sala Uno di Roma – dal 10 al 12 giugno. L’attrice e regista Vittoria Faro mette in scena il testo riadattandolo al teatro. Una fatica letteraria e performativa nate a sostegno di Amref Health Africa, organizzazione sanitaria che da anni opera in situazioni di continua emergenza umanitaria.

Il Signor C (Martino Duane), consulente del Parlamento potente e senza scrupoli, ha da poco elaborato un progetto di legge sull’immigrazione. La sua vita personale subisce un profondo turbamento per la perdita dell’amata zia Ester, madre adottiva trascurata per via del lavoro. Si prende, così, un periodo di pausa dal lavoro recandosi in un resort di campagna.

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Qui incontra Vanessa (Giulia Tomaselli), ragazza misteriosa e disinibita. In pochi attimi lei stravolge i suoi sensi e le sue convinzioni, mettendone in crisi le certezze. Dopo una notte di passione Vanessa scompare improvvisamente, lasciando il Signor C in preda a pensieri ossessivi e al tormento di non sapere che fine abbia fatto. Gli unici indizi sono i desideri della ragazza: viaggiare, sentirsi libera, muoversi come fanno le nuvole, dissolvendosi per poi ricomporsi; migrare verso luoghi più ospitali come l’omonima specie di farfalle, Vanessa Atalanta.

Grazie ai suggerimenti del medium Immeud (Ivan Giambirtone), misterioso cliente del resort, il Signor C si reca sulla tomba della zia defunta per trovare risposte ai suoi dubbi. Il racconto di una donna (Vittoria Faro) riguardo la figlia deceduta, Haiwa, che giace accanto alla zia, lo farà riflettere sulla possibilità che Vanessa e Haiwa siano la stessa persona.

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Numerosi i pro di Vanessa: la recitazione degli attori; il taglio quasi fumettistico, conferitogli sia dalle scenografie di Antonio Pizzola – Spazi Multipli – sia dal disegno luci a cura della Doppiavu Design; i costumi, semplici ma coerenti con le caratteristiche dei personaggi; il far parlare spesso i protagonisti fuori campo sul sottofondo musicale, che va dal dark alla techno, dando all’intera performance identità e impronta precise.

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Tuttavia, si salta alle conclusioni in maniera un po’ troppo affrettata e forzata, e questo spiega perché, durante i saluti finali, lo stesso autore fornisca volontariamente delle chiavi di lettura per interpretare il senso di tutta la storia, delineando il vuoto mancante e marcato che, verso il finale, ci lascia con alcuni interrogativi irrisolti.

Il collegamento tra la prima parte – la conoscenza del Signor C con Vanessa, la sua infatuazione per lei, la sparizione della stessa – e la seconda, infatti, presenta una conclusione alla quale non si riesce a dare spiegazione razionale neanche sotto la guida dello stesso Amoruso. Due parti diametralmente opposte dello stesso spettacolo cui manca una connessione logica che guidi lo spettatore nella comprensione del mistero.

L’intento fondamentale rimane comunque nobile: mettere in comunicazione l’Africa ed i suoi drammi con il resto del mondo sensibilizzandolo riguardo immigrazione e integrazione razziale, anche attraverso l’apposita raccolta fondi. Un obiettivo elevato, un modo per non dimenticare chi soffre e chi fugge da terre dilaniate da fame, violenza e povertà, affinché nessuna di quelle anime, migrate come farfalle, possa morire schiacciata dal peso della nostra indifferenza.

Elena D’Elia

Foto: Sergio Battista

 

 

 

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